Terapia della carie

La carie dentaria è la malattia più diffusa dei denti. La sua comparsa è favorita da un’alimentazione ad alto contenuto di carboidrati. I batteri decompongono lo zucchero formando gli acidi che riducono il pH in bocca. Quando il pH si abbassa (5,2-5,5), gli acidi iniziano a sciogliere lo smalto dei denti causando la carie.

Come trattare la carie?

Il trattamento dipende da quanto la carie ha “attaccato” il dente, e ci sono tre fasi e le possibili terapie.

  1. Se la carie si trova entro le parti dure di un dente, entro lo smalto e le dentine, è necessario pulirla bene e recuperare la parte perduta del dente con un’otturazione. Si raccomandano certamente otturazioni bianche in composito perché si legano ai denti in modo specifico, che è molto meglio rispetto alle vecchie otturazioni nere in amalgama.
  2. Quando la carie è venuta alla cosiddetta polpa, cioè al nervo, significa che è nella fase iniziale della penetrazione di batteri all’interno del dente. In questo caso si può provare la terapia della tappatura della polpa con una preparazione speciale. L’obiettivo è quello di recuperare la polpa e mantenerne la funzione dopo il trattamento. Perché si dice che è possibile provare la terapia?! La possibilità di successo di questa terapia è relativamente piccola, ma in certe situazioni, con una buona valutazione del dentista, il successo è possibile. È importante che dopo il trattamento il dente sia “vivo”, il che significa che reagisce a stimoli entro i limiti che esamina il dentista. In assenza di tali reazioni o se si avverte un dolore è necessario andare alla cosiddetta terapia endodontica, “estrazione di nervi”. La stessa terapia viene eseguita quando la carie è già molto avanzata o quando i batteri sono entrati nella polpa. In questa fase di solito già esiste una sensibilità prolungata a caldo, freddo o dolce o sono già presenti dolori spontanei. Per questa procedura, i pazienti spesso dicono che i loro denti sono puliti con gli aghi perché gli strumenti utilizzati per eseguire la terapia assomigliano di un po’ agli aghi. Per iniziare questa terapia è necessario determinare l’esatta lunghezza del dente, fino all’apice perché questo è il luogo fino a cui ed in cui viene eseguito il trattamento. Prima la lunghezza veniva determinata da raggi X, ed oggi esistono molte sofisticate macchine fotografiche digitali, che possono determinare la punta del dente in una frazione di millimetro. Determinata la lunghezza, si procede con l’estrazione della polpa e con l’elaborazione dei lati del canale in cui si trova la polpa. L’obiettivo è quello di rimuovere tutti i pezzi della polpa, batteri dal canale e preparare lo spazio per riempirlo dopo. La procedura viene sempre eseguita in anestesia locale perché altrimenti il dolore sarebbe troppo grande. Nella seconda fase il canale radicolare trattato viene riempito. È fondamentale riempirlo fino all’apice della radice. Se non si riesce a farlo vi rimane uno spazio vuoto tra l’apice della radice ed il riempimento in cui rapidamente vengono i batteri che poi provocano una reazione infiammatoria. I primi sintomi di questa infiammazione di solito si verificano solo dopo un certo tempo. Tutta la terapia endodontica dovrebbe essere completata in una o due visite, dopo di che si va a fare otturazioni.
  3. La possibilità peggiore è che i batteri della carie hanno già distrutto tutta la polpa e sono venuti fino all’apice del dente, causando l’infiammazione nell’osso. L’infiammazione può essere acuta, il che significa che si sente il dolore e si vede la tumescenza o può essere cronica, di solito asintomatica quando sull’apice della radice si sviluppa un granuloma o la formazione infiammatoria cronica simile. In entrambi i casi è necessaria già descritta la terapia endodontica. Determinata la lunghezza della radice, si rimuovono i residui della polpa e batteri e si riempie il canale radicolare. Dopo l’adeguata terapia si aspetta che passino le alterazioni infiammatorie croniche (es. granuloma) e che si formi un osso nuovo. I primi risultati della terapia e della formazione dell’osso si possono vedere su raggi X solo per sei mesi.

    Auttore: dott. Damir Mikšić

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